Wasted

Harry Potter
Personaggi:
Rating: Giallo
Genere: Drammatico
Note: One-shot
Numero parole: 1918
Introduzione: La piccola Ginevra Weasley ha ventisei anni ed un segreto da mantenere.
Wasted


“Sei strana.”

Abbozzò un sorriso e trattenne a stento una risata. Avrebbe voluto dirle grazie perché senz’altro, strana, era il miglior complimento che le avessero mai fatto. Davvero. Non che la sua vita fosse completamente uno schifo, no, ma comunque si dava da fare per esserlo. Quanti anni aveva? Ventiquattro, venticinque? No, no, ventisei che stupida. Aveva ventisei anni e ancora non sapeva che farsene della sua esistenza. Tragico, vero? Sapeva di dover provare un minimo di stordimento, di apprensione, eppure tutto ciò che provava era indifferenza. La stessa indifferenza con cui fissava quella tazzina di caffè fumante e dall’aroma vagamente piacevole.

A ventisei anni Ginevra Weasley non era niente. Niente di ciò che gli altri volevano che fosse.Wow!

Al contrario, la ragazza che le sedeva di fronte, avvolta nel suo cappotto nero invernale era… come dire, tutto? ‘Siori e ‘Siore, Hermione Granger, la donna dalle mille stramaledettissime risorse! Va bene, da quanto aveva iniziato a provare quell’astio incotrollabile verso qualsiasi essere perfetto? Bè, dal momento stesso in cui aveva deciso di non essere perfetta. Quindi, esattamente dopo il diploma ad Hogwarts.

“Grazie.”

“Non voleva essere un complimento.”

“Per me lo era.”

Hermione non era cambiata affatto: lo stesso sguardo severo e inquisitore. Lo sguardo di una persona che, a prescindere dalle tue motivazioni, ti giudica. Si domandò perplessa se quella donna si fosse mai sciolta a contatto con qualcuno, perché da che ricordava, né Harry né Ron erano riusciti a privare Hermione della sua cortina di gelo. Forse, tra i due, Harry Potter c’era andato più vicino. Ma di poco, pochissimo. Alla fine, era lei, Ginevra Weasley, a dover fronteggiare il muro, tentando disperatamente di non andarvi a sbattere contro. Onorata, davvero.

“Hai studiato, perché non lavori?”

“Non mi pare che l’aver studiato implichi necessariamente il trovarsi un lavoro.”

“Per la maggior parte delle persone, sì.”

“Bè, allora credo di non rientrare in questa maggior parte di cui vai parlando. Io sto bene.”

“No che non stai bene. La noia che ti si legge negli occhi è tangibile.”

Tangibile?

“Potresti utilizzare parole più… più umane quando parli con me? Mi fai venire i brividi.”

“Perché non Auror?”

“Perché sì?”

Adorava mettere in difficoltà un modello di perfezione come lo era Hermione Granger. Ok, ammetteva che la donna che aveva di fronte le aveva dato quanto più ci si dovesse aspettare da un'amica, ma c’era dei limiti a tutto

“Harry è preoccupato, Ron anche, tua madre non ne parliamo neppure.”

“Ho ventisei anni, Hermione, è un po’ tardi, non credi?”

“Esistono Auror che hanno quarant’anni, Ginny.”

“Se è per questo Jack Leroy ne ha sessanta.”

“Sessantuno.”

Ginevra Weasley storse la bocca, arricciò il naso, in una smorfia che era palesemente di disgusto.

“E’ il mio lavoro.”

Le persone tendono a trovare sempre una giustificazione a tutto. Le odiava.

“Francamente, non voglio che sia il mio.”

“No, tu non potresti fare questo lavoro. Hai altre potenzialità, in battaglia per esempio.”

“Perché mi volete sbattere in un campo di battaglia? Vi divertite, forse, a sapermi morta?”

Il suo sguardo era palesemente offesso. “N-no, che cosa stupida.”

Stupida quanto la verità che celava dietro.

“Non mi interessa. Voglio troppo bene a me stessa.”

“Se la pensi così sei egoista.”

“Non ho problemi ad ammettere che lo sono.”

Da quanto tempo Hermione tentava di convincerla, assediandola con la sua presenza? Da quando un numero cospicuo di Auror era deceduto in una delle ultime battaglie contro i seguaci di Voldermort. Pertanto, non era lei l’egoista. Era l’iposcrisia in persona che guidava le redini del pensiero di quella donna, un tempo la più intelligente che esistesse in tutta Hogwarts. Reclute, volontari. Andava bene chiunque pur di distruggere il Male.

Il Male.

Non si sarebbe persa in delle banali quisquilie filosofiche, ma sapeva che il Male era dovunque, il Bene da nessuna parte. Andiamo, tutti nella loro vita avevano commesso qualcosa che non stava bene, che non era civilmente corretto. I bambini iniziavano con lo schiacciare le formiche, i grandi con l’ammazzare altre persone. Esisteva una differenza? Sì, se si pensava al fatto che una formica non godeva di leggi a favore della sua esistenza.

“Se cambi idea, sai dove trovarmi. A qualsiasi ora, non importa.”

Ginevra fece un cenno col capo, più per gentilezza che per altro. “Come vuoi.”

“Promettimi di pensarci. Tuo fratello Ron non starebbe nella pelle dalla contentezza.”

“Mio fratello Ron non starebbe più nella pelle se tu ti infilassi nel suo letto.”

Il rossore sulle sue guance era eccessivo e il tentativo di reprimere la rabbia del tutto inutile. Un gesto freddo, che voleva essere cordiale, fu tutto ciò che Ginevra ricavò da quella mattina, le peggiori ore trascorse della sua esistenza. Ma andava bene così, in fondo, diventare un Auror non avrebbe facilitato le cose, tutt’altro, avrebbe contribuito a renderle più complicate. E tutto ciò che Ginevra non voleva era che qualcosa di complicato intaccasse la sua apatica vita.

La donna dai capelli vermigli, dalle efelidi pronunciate e dagli occhi di un nocciola profondo, guardò l’orologio affisso ad una parete del piccolo bar babbano dove lei ed Hermione Granger si erano date appuntamento. Era l’ora, con un po’ di fortuna, sarebbe arrivata perfino in anticipo. Si bagnò le labbra con la punta della lingua, lasciando una piccola mancia per un cameriere inesistente e si abbandonò all’aria di Londra.

Londra era piena di vicoli, stretti, grandi, lunghi, corti e umidi. Esattamente come quello contro cui poggiava le spalle, persa in una sorta di contemplazione per dei rifiuti malcelati in un bidone. L’odore poco importava, aveva decisamente sentito di peggio. Ginevra Weasley si guardò intorno, guardò in alto e guardò perfino in basso. La prudenza non era mai troppa. Gettò a terra il borsone di pelle, che sua madre le aveva regalato per un compleanno. Un regalo che proveniva niente di meno che dall’armadio di suo fratello Bill.

Si spogliò del cappotto di lana grigio, il primo indumento nuovo che avesse mai avuto in vita sua. E proprio perché era nuovo, si preoccupò di ripiegarlo alla perfezione all’interno del suo borsone. Fu la volta della camicetta attillata che mancava di un bottone al collo, della gonna a quadri scozzese che aveva comprato ad una bancarella dell’usato.

Tentò di ignorare i brividi che scorrevano lungo il suo esile corpo, provocati dal freddo pungente che adesso aveva libero accesso alla sua pelle. Si inginocchiò a terra, cercando di non smagliare l’unico paio decente di calze che avesse e controllando che tutti fossero davvero impegnati nella corsa frenetica degli acquisti. Aprì, infine, una tasca laterale della borsa, estraendone un paio di pantaloni neri ed una maglia a collo alto dello stesso colore. Li fece scorrere lungo la sua pelle diafana, provando conforto quando il calore della stoffa venne a contatto col suo corpo.

Afferrò un elastico, rosa fosforescente, un pugno allo stomaco, ma adatto a legare i suoi capelli crespi e riccioli, che comunque non ebbero l’intenzione di stare legati attorno al suo volto. Infine, si portò sulle spalle un mantello, mentre con le dita affusolate congiunse i bottoni del colletto con i rispettivi occhielli.

Fatto. O quasi.

“Alla buon’ora.”

Ginevra sorrise, china sulla propria borsa. “Non sono in ritardo.”

“No, non lo sei.”

“Gradito lo spettacolo?”

“Abbastanza, anche se tra i bidoni non rendi il massimo.”

Ginevra afferrò il borsone, si guardò attorno ed infine lo incastrò tra i bidoni dell’immondizia. Ripensò all’incontro con Hermione. Non è che non avesse un lavoro, un impiego ce l’aveva. Un po’ difficile da spiegare, dal momento che non aveva una paga retribuita o uno stipendio a fine mese. Come dire, era qualcosa a cui bastava una buona dose d’istinto, una certa capacità nel maneggiare una bacchetta e perché no, un Avadra Kevadra.

Ginevra si infilò il cappuccio e coprì le proprie efelidi con una mascherina d’argento. Le causava un certo solletico, ma non poteva farci niente. Erano le regole.

“Muoviamoci.”

Lui la imitò, coprendo i capelli biondo-platino con la stoffa del suo cappuccio e il grigio degli occhi con l’argento della maschera. Ginevra osservò la sua maestosa figura camminare nel vicolo sporco e quanto mai inadatto ad un essere come lui. Fece una smorfia, quel mantello copriva decisamente troppe belle cose.

“Un vero spreco.” Sbottò, per poi scomparire nelle oscurità di Londra.

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