Neverending Milky Way

Inuyasha
Personaggi: , , , ,
Rating: Giallo
Genere: Avventura, Azione, Romantico
Numero Capitoli: 17
Introduzione: Sequel di Ritorno al Passato. Quindici anni, quasi sedici, sono trascorsi dalle vicessitudini di Inuyasha e Kagome. Kaeru è cresciuta e custodisce dentro di sè due entità distinte: quella umana e quella demoniaca. A quale delle due rivolgerà il proprio cuore?
Neverending Milky Way


1, Ritorno al Sengoku Jidai


Fece oscillare i piedi, lambendo la superfice dell'acqua. La freschezza del liquido e il vento tra i capelli... erano quelle le sensazioni che più desiderava in quel momento. Ciò che bramava dopo una estenuante giornata al seguito di sua madre. Era nata in un villaggio pacifico, dove tutti viveno dei frutti della terra, dove tutti si crogiolavano in una tranquillità spesso noiosa. Quindici anni erano passati dagli eventi che gli anziani raccontavano ai bambini del villaggio, storie che anche lei aveva ascoltato con febbrile trepidazione. Ma a quindici anni, quasi sedici, aveva smesso di ascoltare quei racconti, aveva smesso di credere alle verità che insegnavano; li reputava racconti fantastici, anche se più volte sua madre l'aveva rimproverata per questo. Sollevò gli angoli della bocca in un sorriso e lanciò un ultimo sguardo al sole morente di fronte a lei; con un scatto scese dal masso e atterrò con agilità a terra. Sistemò le pieghe del suo yukata con un leggero movimento delle mani e prese a percorrere la piccola salita che l'avrebbe ricondotta all'entrata del suo villaggio.

Quel giorno, il sole estivo aveva battuto i campi brulli dei contadini, esausti al termine del loro lavoro. Una leggera brezza sfiorava la terra, come per volerle creare conforto per quel calore bruciante. Il suono emesso dai suoi geta contro il suolo roccioso, richiamò l'attenzione di alcune donne, intente a lavare i propri panni sull'ansa del fiume che attraversava il villaggio.

"Kaeru-sama, vostra madre vi stava cercando."

"A quest'ora dovreste essere a casa, è pericoloso uscire dal villaggio." disse una seconda donna, mentre si allacciava in grembo un fazzoletto.

"Scusate, non era mia intenzione farvi preoccupare." La ragazza fece loro un leggero inchino e sorridendo, proseguì il suo cammino verso casa. Quando fu abbastanza distante, attraversò la piazza del villaggio con al centro un grande pozzo, ritrovandosi un poco a ridosso della palizzata di legno. Un po' più distante dall'agglomerato di capanne, si ergeva un'abitazione di legno e paglia.

Accelerò il passo verso l'entrata della capanna e con cautela scostò il pagliericcio che funzionava da porta. Non vide nessuno accanto al focolare spento.

"Sango-san?" Fece un passo avanti e dal fondo della stanza, laddove la luce non riscaldava più le assi di legno, le giunse alle orecchie un brontolio sommesso. In pochi secondi, un felino dal caldo manto color avorio le si avvicinò.

"Kirara-chan."

Il felino sollevò la mano della ragazza con il muso affusolato, mentre con una docilità impensabile per la sua grandezza, prese a emettere dei suoni che Kaeru riconobbe come fusa. La ragazza sorrise, pensando a quanto Kirara le fosse affezzionata. Da che aveva memoria quello strano demone-felino era sempre stato presente nella sua vita e aveva dimostrato di poter essere un affidabile compagno di giochi.

"Kaeru-chan, sei qui."

La ragazza si voltò nella direzione dell'entrata. Una donna dai lunghi capelli color ebano e dalle guance un poco arrossate, la stava osservando con cipiglio severo. Indossava uno yukata leggero, ornato di fiori il cui colore le donava moltissimo.

"Scusa, mamma."

L'espressione sul volto della donna si addolcì. Sua madre era molto bella. E la sua non era una bellezza banale, tutt'altro. Era una delle donne più bramate dai capi villaggi, sia per il suo aspetto fisico che per le sue doti curative. Era una sacerdotessa. Gli abitanti del villaggio veneravano sua madre come se fosse una divinità, le dedicavano offerte ed ogni giorno si recavano al Tempio per chiederle aiuto e consigli. E lei, in quanto sua figlia, l'assisteva in ogni sua funzione e standole accanto aveva iniziato ad apprezzarla anche per come appariva agli occhi degli altri.

"Va bene, Kaeru-chan. Ma per favore, la prossima volta avvisa qualcuno prima di lasciare il villaggio. Sai bene come la pensa tuo padre." disse, sospirando con rassegnazione. Kaeru fece un cenno d'assenso con il capo. Benché sua madre fosse una delle persone più dolci che avesse mai conosciuto, la sua rabbia poteva molto spesso risultare implacabile a chiunque, perfino a suo padre.

"Kagome-chan, Kaeru-chan?"

Dietro Kagome comparve la figura di Sango che, felice, aveva accolto le due donne con un sorriso. Kaeru contraccambiò il sorriso della Cacciatrice. Si, perché la donna che le stava davanti, fasciata nel suo yukata estivo era una Cacciatrice di demoni, una delle poche che aveva continuato a professare tale mestiere. Suo marito, Miroku-sama, era un monaco che svolgeva i propri servigi alle corti dei castelli, esorcizzando spettri e demoni che minacciavano il mondo degli umani. Vi aveva parlato poche volte, e sua madre le aveva sconsigliato dal farlo perché Miroku-sama, benché buono, aveva dei difetti a cui nessuno, nemmeno sua moglie, sembrava aver posto rimedio. Kaeru si sedette accanto alla madre ed osservò il volto di Sango, intenta a servire del tè alle sue ospiti.

Benché Sango avesse la stessa età di sua madre, ella appariva molto più anziana. E Kaeru sapeva perfettamente il motivo di quel mistero. Fin da quando era piccola, sua madre le aveva raccontato la loro storia, la sua e quella di suo padre, la sua nascita e gli eventi che vi ruotarono attorno. Quelle storie erano forse le uniche a cui lei credeva ciecamente, perché non aveva motivo di diffidare del suo stesso sangue. Quindi sapeva che lei, sua madre e suo padre erano esseri immortali, esseri dotati della vita eterna. Il suo corpo, nonostante tutto, aveva continuato a crescere, e nessuno poteva immaginare quando si sarebbe fermato per rimanervi tale. Kaeru sperava e pregava ardentemente di fermarsi all'età di sua madre; quando glielo aveva confessato, Kagome le aveva sorriso rassicurante. Per il resto, le sue ferite impiegavano un giorno abbondante per rimarginarsi del tutto.

"Kagome-chan, oggi sono stata da Kaede-sama."

Il volto di Kagome si intristì sentendo pronunciare il nome dell'anziana sacerdotessa. Kaeru aveva sempre considerato Kaede-sama come una seconda madre, benché la vecchiaia avanzata della donna le avrebbe reso più semplice il ruolo della nonna. In quegli ultimi mesi, Kaede-sama era stata costretta a letto, perché gli anni che gravavano sulle sue spalle erano diventati sempre più opprimenti per le sue deboli ossa. Una volta al giorno andava a farle visita, ma nell'ultima settimana, sua madre l'aveva pregata di lasciarla riposare. Gran parte di ciò che sapeva, lo doveva a Kaede-sama e alla pazienza che aveva dimostrato fin da quando era piccola. Non vi era erba, medicina e pozione guaritrice che non conoscesse. Sapeva curare le ferite senza l'aiuto della magia o senza particolari poteri innati. E ciò la rendeva particolarmente orgogliosa. Era un modo come un altro per rendersi utile.

"Ultimamente le sue condizioni sono molto peggiorate." Concluse Sango.

"Si, ho paura che non vedrà il prossimo novilunio."

Kaeru strise i lembi del proprio yukata tra i pugni, reprimendo la voglia istantanea di piangere. Anche se le aveva insegnato tutto, Kaede-sama non le aveva insegnato un modo per farla guarire e sembrava che nemmeno le doti di sua madre, potessero niente per lei. Kaede-sama è ormai anziana, non soffre di alcun male. Purtroppo, sta terminando la sua vita.

Stava morendo. Come ogni normale essere umano. Ma lei non poteva capire. Perché a differenza di sua madre, purché immortale, lei non era un essere umano. Era figlia di un mezzo demone, e solo in parte aveva sangue e vita umane. Spesso si rattristava per questo, perché non poteva capire, non poteva provare. Eppure lei si sentiva umana, perché desiderava esserlo. Desiderava essere come gli altri. Poter dire un semplice vi capisco senza che questo suonasse ipocrito e ironico. Ma teneva questi suoi pensieri celati dentro di sè, in modo da risultare inaccessibili a chiunque. Perché nessuno doveva sapere ciò che più bramava nel cuore. A nessuno doveva mostrare la propria debolezza, degno insegnamento di suo padre. Mostrare di essere fragili, era a un passo dall'essere deboli.

"Kaeru-chan?"

Sollevò lo sguardo su Sango, mentre sentì le guance accendersi di un rosso scarlatto.

"Ti senti bene?" Domandò la madre, appoggiando una mano fresca sulla gota della figlia. Kaeru mormorò qualche parola, senza tuttavia essere compresa, accompagnando le sue parole con un breve cenno del capo.

"Scusate, forse sono solo un po' stanca."

"Probabilmente è così," annuì Sango ,"tua madre ti avrà schiavizzato tutto il giorno."

Kagome gonfiò le guance in segno di dissenso. Kaeru fece un leggero sorriso, pensando che assistere sua madre fosse particolarmente faticoso. Tutto questo perché un giorno prenderai il mio posto. Erano queste le parole che più soleva ripeterle. Essere un giorno sacerdotessa. Non aveva mai pensato seriamente al suo futuro, il loro era un villaggio talmente pacifico, che permetteva a tutti di concedersi una vita senza troppe preoccupazioni. Ormai si era resa conto che il suo futuro non sarebbe mai andato oltre le recinzioni di quel villaggio e, forse, proprio per questo, aveva mostrato una placida rassegnazione. Nonostante tutto, molto spesso si scopriva a pensare al padre, e ai viaggi che spesso le raccontava. Non c'era romanticismo o bontà in ciò che predicava, ma aveva imparato a custodire i consigli di suo padre, quasi come dei sacramenti inviolabili.

Suo padre, il Venerabile Inuyasha, era un demone. Più propriamente, un mezzo demone, in quanto nato dall'unione di un demone ed un essere umano. Mentre lei, era nata dall'unione di un essere umano con un mezzo demone, pertanto poteva reputarsi come un mezzo mezzo demone. Linee genealogiche a parte, in quindici anni, quasi sedici, non aveva mai manifestato alcuna caratteristica demoniaca. Non aveva orecchie pelose e canine, nè artigli taglienti. I suoi capelli erano di un nero lucente, mentre i suoi occhi di un verde pallido. Era un essere umano nell'aspetto, ma si sentiva diversa dentro. Perché comprendeva, perché accettava, perché forse amava la controparte del suo essere umana. Il suo essere in parte demone.

Ma benché l'accettasse, la sua controparte, non si era manifestata. Con grande disappunto di suo padre.

E' solo questione di tempo.

Forse era davvero questione di tempo, ma fino a quel momento, non aveva sentito la mancanza di una forza superiore. Le bastava ciò che aveva per essere soddisfatta. Le bastava essere accettata come essere umano, anche se parzialmente diversa. Amava suo padre, ma desiderava l'umanità all'oniricità.

"Sei molto silenziosa oggi." Sua madre le camminava accanto, mentre accompagnate dalla luce del tramonto, si stavano dirigendo verso la loro capanna.

"Forse sono davvero stanca." Rispose Kaeru, sospirando.

"E' raro vederti così abbattuta. Solitamente hai energia da vendere."

"Può accadere a volte di avere una giornata storta, no?" Disse in un soffio.

"Si, può capitare."

Kaeru si fermò, lasciando che la madre la distanziasse di qualche passo.

"Mamma, pensi che Kaede-sama, morirà?"

Kagome si bloccò, voltandosi per osservare il volto chinato della figlia, ombreggiato per l'assenza di luce.

"Non lo so. Davvero, non lo so."

"Noi... non possiamo davvero fare niente per lei?" Kaeru si morse il labbro inferiore. Kagome osservò la ragazza e le si avvicinò, sorridendole. Kaeru sentì la mano della madre contro la sua spalla, come per crearle in qualche modo conforto.

"Kaeru-chan, lascia che ti dica una cosa. Gli uomini amano e odiano, combattono, provano sentimenti benché spesso ingiusti. Sono deboli, spesso miseri. Sono poveri, egoisti. Hanno difetti su difetti. Ma hanno un dono dalla loro: la vita. Vivono, respirano. Nascono in questa terra per un volere del tutto sconosciuto. Possono uccidere, ma possono provare misericordia. E tutto questo perché gli è stato fatto questo dono. Forse immeritato, ma comunque tale. E vi è un secondo dono, che è stato loro concesso: la morte. Perché, Kaeru, la morte può far paura. Molta paura. Perché le persone che ami non esistono più da nessuna parte. Ma la loro scomparsa, è una rinascita. La Morte è solo una continuazione di quella che noi chiamiamo Vita. E per Kaede è lo stesso. Lei non muore, fintanto che esisterà qui."

Kagome indicò il petto della figlia.

Quelle di sua madre erano state belle parole, ma inconsapevolmente non avevano fatto altro che accrescere le sue convinzioni: che in fondo, poter vivere, con l'atto conseguenziale di morire, era il destino di ciascun essere umano. Non il suo.

"Mamma, domani vorrei andarla a trovare." Disse infine, riprendendo a camminare.

"Va bene. E' giusto così."

Quella sera andò a dormire molto presto, senza attendere il ritorno a casa di suo padre. Era stanca e anche lei iniziava a non comprenderne il motivo. Il lavoro al Tempio poteva sì, essere stancante, ma le piaceva; per questo aveva aiutato spesso e volentieri sua madre. Inoltre vi erano state giornate ben peggiori di quella che stava attualmente terminando. Che fossero i suoi pensieri, a renderla stanca, era molto probabile. Kaeru chiuse gli occhi, avvolta nella calda coperta del suo futon. Fuori, tutto il villaggio era immerso in un silenzio sovrannaturale e le fiaccole, a stento illuminavano le piccole strade. Era diventato molto raro che qualche demone attaccasse il villaggio durante la notte. E anche durante il giorno. Questo perché la fama dei suoi genitori era spesso ricorrente a molte miglia di distanza. Le frecce sante di sua madre e la spada di suo padre erano rinomate per essere tra le armi più pericolose. Per questo il villaggio, anche per quella notte, avrebbe dormito tranquillo. Kaeru fece un sorriso a fior di labbra, abbandonandosi in seguito a quella pace rassicurante.

**


Kagome stava in piedi alla finestra della propria capanna e con una mano, teneva scostate le piccole tende di stoffa che aveva lei stessa cucito. Stava osservando la piccola strada che si districava tra le capanne del villaggio. Sorrise al pensiero della sua ostinazione. Stava spesso delle ore a quella finestra, attendendo il ritorno di Inuyasha; del tutto inutile, visto che il mezzo demone non era avvezzo a camminare per strada come un comune essere umano. Negli ultimi anni, quando Kaeru era cresciuta abbastanza per essere in grado di aiutarla, Inuyasha aveva preso a viaggiare. Non aveva mai rivelato a nessuno il motivo di quei viaggi, ma lei, Kagome, in fondo al suo cuore, poteva vagamente immaginarne il motivo. Inuyasha era un mezzo demone, pertanto avrebbe sempre bramato l'essere un demone completo.

E questo lo accettava, perché si era ripromessa di amare tutto di lui. Anche il suo lato fortemente testardo, anche quel lato che tendeva ad allontanarlo dagli esseri umani. In quegli anni, Kagome aveva capito che Inuyasha era uno spirito libero, poco avvezzo ad assere incantenato in un angolo sperduto del mondo. Aveva compreso che il mezzo demone conservava ben poco di ciò che era stato in passato. Non era più ingenuo. Aveva coltivato un sarcasmo quasi tagliente, velenoso. Era altero, e per questo si distingueva dal resto. Freddo, a volte, nei confronti degli esseri umani.

Sì, sotto certi aspetti, Inuyasha le ricordava molto Sesshomaru.

Ma da Sesshomaru, Inuyasha sapeva anche distinguersi. Quella freddezza, che spesso le incuteva paura, non esisteva per lei o per la loro figlia. Inuyasha, seppur demone, amava. Ma amava solamente ciò che per lui era più caro. Nient'altro. Rispettava ogni singolo essere umano, ma non li amava. Nemmeno li odiava, semplicemente gli erano indifferenti: potevano esistere, come no. E questo in parte la feriva, perché lei era un essere umano. Ma la logica seguita da Inuyasha era troppo complicata, troppo profonda perché potesse essere ampiamente compresa.

Si limitava semplicemente ad amarlo. E sapere che il suo amore era ricambiato con pari intensità, a lei bastava.

Udì un rumore alle sue spalle, mentre una voce biascicata mormorò qualcosa di incomprensibile. Kagome sorrise, accendendo una piccola fiamma che le permettesse di illuminare la stanza. Di fronte a lei, a pochi metri di distanza, un uomo dai capelli argentati, stava in piedi alla porta, quasi incerto sull'entrare.

"Bentornato." Disse Kagome, accorciando la distanza tra loro. Posò le sue labbra gentili, su quelle taglienti di lui, sfiorandole in un piccolo bacio. Inuyasha, forse dimentico di quella sensazione, strinse Kagome a sè, facendola gemere per lo stupore. Kagome affondò il volto tra le pieghe del suo kimono, assaporando il profumo inconfondibile del consorte e si abbandonò nel suo abbraccio.

"Si, sono tornato."

"Lo immaginavo. Penso di avere un sesto senso." Kagome sorrise contro la stoffa delle sue vesti, mentre le mani di Inuyasha si allacciavano saldamente dietro alla sua schiena.

"Mi spiace, stavolta sono stato via per molto più tempo."

Kagome sollevò il capo, immergendo i suoi occhi grigio-azzurri in quelli dorati di lui. Sapeva quanto fosse realmente dispiaciuto.

"Non ti preoccupare, non è successo niente. Tutto è tranquillo come sempre."

"E Kaeru?" Domandò Inuyasha.

"Kaeru sta bene," gli rispose Kagome, inclinando leggermente la testa ," penso che tu domani debba trascorrere un po' di tempo con lei."

Le labbra di Inuyasha si incresparono in un sorriso malizioso.

"Ma ciò vuol dire non dedicare il giusto tempo a te."

"Oh, per quello mi accontenterei di stanotte." Disse Kagome, rispondendo a sua volta a quella frase provocatoria. Senza attendere la risposta di Inuyasha, Kagome sollevò braccia attorno al collo del mezzo demone, aderendo maggiormente il proprio corpo al suo. Avrebbe desiderato fargli molte domande, sui motivi che lo spingevano a viaggiare, a stare lontano da lei. Avrebbe voluto sapere, ciò che lui le stava tenendo nascosto. Avrebbe voluto arrabbiarsi con lui, avrebbe voluto fare i capricci come una qualsiasi donna innamorata.

Ma alla fine, tutte le sue intenzioni si vanificavano. E tutto per colpa del grande ascendente che Inuyasha, forse consapevolmente, esercitava su di lei.

Sentì una mano del mezzo demone scivolare sotto la stoffa del proprio yukata.

Sì, decisamente le sue intenzioni avrebbero atteso.

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