And Now, Wake Up
Rating: Verde
Genere: Generale
Note: One-shot
Numero parole: 2563
Introduzione: Hitoshi Tanaka è un ragazzo smunto con un paio d'occhiali a solcargli il naso. La sua vita sociale rasenta lo zero, eppure un ripostiglio per scope gli dimostrerà tutt'altra verità.
And Now, Wake Up
«Tanaka. TANAKA?»
Sollevai lo sguardo, sentendo un rivolo di saliva scendere da un'angolo della mia bocca. Lentamente, i miei sensi abbandonarono il torpore del sonno per tornare a quella che era la realtà, ovvero una marea indistinta di guai. Tra la nebbiolina del primo risveglio, un volto rugoso ed accigliato mi osservava con disapprovazione.
«Signor Tanaka, sono lieto che la mia lezione sia così stimolante.» All'improvviso, la consapevolezza di dove ero si abbatté su di me e, con uno schiocco di congiunture, mi trovai ad aderire nuovamente alla sedia. Sentii un calore intenso concentrarsi lentamente all'apice del naso, mentre le prime risate soffocate iniziarono a sollevarsi nel resto della classe.
Mi strofinai la bocca con una manica della divisa, imbarazzato. Mi ero addormentato e per l'ennesima volta ero stato scoperto. Decisamente, non avevo la stoffa per passare inosservato. Avvilito, domandai scusa, ma esattamente come il finale di un film scontato, finii fuori nel corridoio con il compito di dover riordinare l'aula alla fine della giornata. Appoggiai le spalle alla parete, osservando la mia immagine riflessa alle vetrate che davano sul cortile della scuola. Quel ragazzo dall'aria smunta con i fondi di bottiglia sul naso mi stava fissando con disprezzo ed io non avevo alcuna intenzione di impedirglielo; da quando mi ero trasferito in quella prefettura, da quando avevo iniziato a frequentare quella scuola, la mia coscienza non mi aveva guardato in altri modi se non quello.
Hitoshi Tanaka non era un nerd, né tanto meno un secchione. Avevo scelto l'unica scuola con libero accesso, non avevo prestato attenzione all'uniforme e non avevo visionato le materie scolastiche che avrei appreso. Semplicemente, stavo percorrendo un periodo di assoluta indifferenza nei riguardi di tutti, in primis di me stesso. Il trasferimento non mi aveva introdotto a nuove amicizie e quel poco che mi era stato detto aveva unicamente lo scopo di convincermi a partecipare a qualche club sportivo. Inutile dire che l'apparenza fisica non era esattamente un incentivo.
Insomma, ero una persona totalmente anonima. Ero sicuro ― fino a qualche minuto prima, almeno ― che nessun compagno di classe aveva notato la mia presenza. Non andavo molto fiero del lato sociale della mia vita, ma trovavo persino inutile strapparsi i capelli per ogni amico che non riuscivo a conquistare. Alcune persone sono nate per vivere in solitudine, dopotutto.
«Tu sei Hitoshi Tanaka, non è vero?» Sollevai mestamente lo sguardo, avevo l'impressione di essermi nuovamente appisolato. La campanella al termine delle lezioni doveva aver suonato da diverso tempo a giudicare dalla massa di studenti che si era riversata nei corridoi e per le scale. Il fatto di addormentarmi nei luoghi più scomodi ed assurdi stava iniziando seriamente a crearmi dei pensieri. Ed il fatto che a parlarmi era stata una ragazza non favorì affatto quel senso di tranquillità che andavo disperatamente cercando.
Per la seconda volta nell'arco di poche ore mi ritrovai ad assumere una posizione rigidamente eretta, inusuale e maledettamente scomoda. Non ero felice se non davo un'impressione impacciata di me stesso.
«S-sì.» Farfugliai, sentendomi immensamente sciocco.
Lei sorrise, forse per compassione o semplicemente per disagio. «Sono Yoko Nakamura della sezione F.»
Yoko Nakamura, pensai. Non la conoscevo, ma indubbiamente era carina. L'uniforme scolastica le donava molto, a differenza della maggior parte delle ragazze che frequentavano la scuola. Non era truccata come voleva la trasgressione, i capelli corvini le ricadevano morbidi sulle spalle e la pelle scoperta delle braccia pareva bianca come il latte; avevo l'impressione che una ragazza come lei non rimanesse nell'anonimato a lungo. Di sicuro aveva frotte di spasimanti, se non addirittura un ragazzo. Forse il capitano della squadra di baseball. Era così che funzionava nei manga, no?
Era della sezione F, come me. Mi sentii improvvisamente entustiasta. Cretino, ma entusiasta.
Lei mi osservò ed infine soppresse a stento una risata, il metodo perfetto per mandare la stima di un uomo ― di per sé precaria ― sotto alla suola delle scarpe.
«Ad essere sincera, siamo in classe insieme.» Disse, protendendo un braccio nella mia direzione. Dal piccolo pugno liberò un mazzo di chiavi tintinnante, che lasciò ciondolare di fronte al mio sguardo. «Queste sono le chiavi dell'aula. Oggi era il mio turno di pulizie, ma pare che avrò il pomeriggio libero.» Sorrise. Un sorriso tremendamente doloroso. «Tieni. Ci vediamo a lezione, allora.» Osservai la sua figura allontanarsi, mentre la sua cartella ondeggiava avanti ed indietro, seguendo l'andamento del suo braccio.
Aprii il palmo della mano, osservando il colore metallico delle chiavi ed il ciondolo che portava la scritta Aula 3F. Non mi sentivo più entusiasta, solo cretino. Fu allora, nuovamente deluso dell'andamento della mia vita, che abbassai lo sguardo per terra.
E lo notai.
Un piccolo biglietto, rosa con qualche macchia ingiallita sul bordo. Lo raccolsi, credendo fosse di Nakamura e lo infilai in una tasca dei pantaloni assieme alle chiavi dell'aula. Così, senza leggerlo.
Il sole stava illuminando di riflessi arancioni le aule della scuola ed io, seduto su un banco con il gambo di una scopa sulle ginocchia, rimiravo il lavoro di quell'ultima ora. Lasciavo oscillare i piedi, beandomi di quella quiete e dei cori che provenivano dai campi sportivi, dove i membri del club di baseball e di calcio si allenavano con fervore. Infilai nuovamente una mano nella tasca alla ricerca delle chiavi per chiudere definitivamente l'aula, quando le mie dita vennero a contatto con una sostanza che non era il tessuto dei pantaloni. Estrassi nuovamente il biglietto che avevo raccolto e lo rigirai su sé stesso.
L'unica parola che avesse un senso era la parola club, il resto intimava alla persona che stava leggendo di recarsi presso lo sgabuzzino delle scope nel sopratetto della scuola. Mi sentii pervadere dallo stupore ― uno sgabuzzino era senza dubbio un luogo alquanto singolare per un club ― e, gradualmente, iniziai ad essere curioso. Il foglietto non riportava né il nome del club né a chi o cosa fosse dedicato, fatto che alimentò ulteriormente la mia curiosità.
Fu così che, dopo aver chiuso l'aula, mi diressi alle scale che conducevano sul tetto della scuola. Vi ero stato rare volte lassù, benché, in genere, i tetti rappresentino i posti più tranquilli nel quale rifugiarsi. Con qualche difficoltà superai il nastro che impediva l'accesso, aderendo alla porta sul tetto. Quando uscii una brezza leggera si scontrò su di me ed i raggi morenti del sole divennero ancora più vividi.
Prestai attenzione, ma ad eccezione di qualche coro proveniente dalle tifoserie, la terrazza era totalmente deserta. Mi adagiai alla ringhiera, osservando i campi sportivi dai quadratoni della rete ed iniziai a perlustrare con lo sguardo il sopratetto, alla ricerca di una porta che facesse pensare all'entrata di un ripostiglio. Il tetto si estendeva per molti metri quadri, ma fortunatamente, ciò che andavo cercando si dimostrò essere più vicino di quanto pensassi. Esattamente dietro alla porta da cui ero uscito, ve ne era un'altra che, stranamente, non avevo visto salendo le scale.
Una targhetta metallica mi confermò che tale porta dava libero accesso al ripostiglio delle scope; afferrai la maniglia e senza ripensamenti aprii, tirando verso di me. Quello che vidi non solo mi lasciò interdetto, ma fu un'ulteriore conferma del fatto che tutte le conferme precedenti non lo erano affatto. Ovvero, che quello non poteva assolutamente essere un ripostiglio per scope.
Un chiacchiericcio intenso ronzò nelle mie orecchie fino a quando uno stuolo di ragazze si voltò nella mia direzione, ammutolendo. Sentii la forte urgenza di scusarmi e scappare, ma lo sguardo di tutte loro funzionò da colla ed inchiodò i miei piedi a terra. Erano tutte studentesse della scuola, a giudicare dall'uniforme che indossavano, alcune carine come Nakamura, altre più in carne, ma tutte con una caratteristica dominante: avevano spillata al petto una piccola tessera con una foto che mi ritraeva nell'atto di salutare.
Quel che non riuscivo a comprendere ― oltre al cosa ci facesse la mia faccia sul petto di tutte loro ― era come avevo fatto a riconoscermi, dal momento che il ragazzo nella foto non mi assomigliava affatto.
Un primo gridolino ― di gioia, credo ― fu emesso dalla ragazza più vicina alla porta da cui ero entrato. Osservai il suo corpo cadere verso il basso ed in un attimo me la ritrovai tra le braccia.
«Oh, mio Dio! Tanaka-san è qui!» Sentii altre ragazze pronunciare il mio, mentre il delirio generale le fece cadere nel panico. Sentii due braccia avvolgermi le spalle, osservai verso il basso e vidi il volto della ragazza che avevo soccorso, in lacrime. «Tanaka-san! Ti amo.»
Sgranai lo sguardo e per un'azione completamente riflessa, lasciai andare il corpo della ragazza, che cadde a terra. Non ebbi il tempo di domandarle se stesse bene, che lei si afferrò ad una delle mie gambe con una forza che non credevo possibile.
«Pe-per favore, lasciami!» Protestai, colmo di imbarazzo.
Un coro di grida eccitate mi travolse come un fiume in piena, mentre tutte le ragazze presero ad accerchiarmi, attirandomi nel ripostiglio. «Tanaka-san, mettiti con me ti prego!» Gridò una ragazza con il volto paffuto, strattonandomi un braccio.
«No! Tanaka-san si metterà con me!» Disse un'altra, strattonandomi il braccio opposto.
«Adesso che hai scoperto il nostro fan club, Tanaka-san, non puoi più ignorarci!» Protestarono all'unisono.
«Noi ti adoriamo, Hitoshi-chan!»
Mi sentii improvvisamente arrossire nell'udire il mio nome e desiderai ardentemente di fuggire. Non riuscivo a comprendere ciò che stava accadendo e del perché quelle ragazze avessero creato un club proprio su di me. Sentivo gli arti doloranti e l'aria venir meno. La mia impopolarità che si era fatta d'un tratto popolare non aveva alcuna logica, alcun senso. Ero uno studente trasferitomi da poco eppure quelle ragazze mi consideravano alla stregua di una celebrità. Decisamente, qualcosa non andava.
Ad un tratto due mani mi afferrarono il volto, strattonandomi nella direzione di una ragazza con le labbra schiuse. «Tanaka-san, baciami!»
Mi ritrovai a fissare il soffitto del ripostiglio, intravidi una scopa, poi il niente.
«Tanaka?»
«Tanaka!»
Aprii gli occhi di scatto, mentre la scopa che avevo adagiato sulle gambe cadde rovinosamente a terra. La osservai per qualche secondo, infine alzai lo sguardo, trovando Nakamura di fronte a me.
«Tanaka, ti sei addormentato di nuovo?»
Con una mano mi strofinai gli occhi ed infine una guancia, perplesso. «Ho perso gli occhiali...»
«Occhiali? Non hai mai portato gli occhiali! Sei sicuro di sentirti bene?» Osservai Nakamura negli occhi ed il profilo del suo volto mi parve nitido come non lo era mai stato.
Senza badare al mio stato, Nakamura mi sorrise, afferrandomi una mano. «Insomma, avevi promesso che dopo le pulizie mi avresti portata in centro! Son quasi due ore che ti aspetto!»
«Non avevo gli allenamenti di baseball?» Domandai, confuso.
Nakamura appoggiò le mani sui fianchi come era solita fare prima di una ramanzina all'orizzonte. «Tanaka, stamani ti sei addormentato e sei stato costretto dal sensei a pulire l'aula! Sei il capitano della squadra di baseball, devi dare il buon esampio!»
Mi grattai la testa, perplesso. «Oh. Ho fatto solo uno strano sogno, un club segreto dedicato a me. Pensa!»
Nakamura corrucciò le labbra. «Se esistesse mi arrabbierei, tutte quelle ragazze a girarti intorno. Sono una scocciatura.»
Sorrisi, dandole un buffetto sulla guancia. «Non ti preoccupare, una mi basta ed avanza.» Ero maledettamente sincero.
«Allora, ti aspetto all'entrata. Non farmi aspettare molto, eh.»
«Tranquilla, metto in ordine ed arrivo.» Dissi, raccogliendo la scopa da terra. Rimasto solo, mi avvicinai ai vetri dell'aula ed osservai il mio riflesso. Ero identico al ragazzo della spilla, nessuna traccia di quello studente smunto e con gli occhiali che avevo sognato di essere. Mi sentii un po' intontito; esteticamente non ero affatto male, ero capitano della squadra di baseball e Nakamura era la mia ragazza.
Molto probabilmente di lì a poco mi sarei nuovamente svegliato con un altro aspetto, chissà.
Lanciai uno sguardo furtivo alla scopa che tenevo in mano e la riposi in un angolo della stanza.
Sogno o realtà, non sarei mai e poi mai tornato al ripostiglio delle scope. Preferii accertarmi di tutt'altro, ad esempio, di come baciava Yoko Nakamura.